IL PRIMO NERVOSO NON SI SCORDA MAI
Deve tirare fuori tutta la sua intimità
“Quale contenuto, nel messaggio sinaptico, è passato?”
No, non lo può dire, già
Troppo è caduto nel vergognoso imbuto
Del dimenticatoio di ciò che è stato sentenziato
Generato e creato da occhi inesistenti che sempre tutto hanno guardato
Non solo è buio l’indicato, dal vettore, che ogni giorno guarda
Non solo è sempre più marcato l’infinito sfumato nero intorno
agli occhi, su colli rigonfiati
Pure la paura di non seguire mai strade nuove ora dice che lo
riguarda
E che non troverà nel futuro un lavoro che gli piacerà
E pure la vergogna… che mai ritarda
Richiami di razionalità, però, sempre più spiccati
Gli dicono che deve svegliarsi
Appiccicati sul verso giusto della realtà
Xeno – verso
Certo che lui è perso!
Ma basta protrarre la spettrale litania!
Eccola che arriva l’energia!
Ecco, sale l’onda di violini
A soverchiare tutto
Ecco che i bambini che leggono
Smetteranno di inscenare un lutto!
Poi, se magari tutto questo a nulla servirà
Col rancore, di nuovo, in mezzo ai nuovi ultimi sospiri di bellissima
meraviglia, duetterà:
“Dobbiam tirare fuori tutta la nostra intimità!
Questo è stato solamente un assaggio
Un – ti prego, perdonami – noioso messaggio…” …
Giuseppe Deana 4A LSU
La guerra di parole
Faccio la guerra con le parole,
senza coltelli, senza pistole:
a mani nude, corpo a corpo.
Mi risuonano in testa,
la perforano.
Il loro suono è dolce,
ma solo nella mia mente,
mentre è affilato e tagliente
quando vengono pronunciate.
Vorrei parlare senza il timore di errare;
eppure quando si ha troppo da dire
le parole si bloccano tra la gola e il cuore,
soffocandomi.
Laura Masolini, 2B LSU
Ore in Tempesta
Il fiato corto unito ai cigolii delle biciclette creava una sinfonia quasi orecchiabile, le gambe bruciavano e le mani sferzate dal freddo erano ormai diventate insensibili. Vista da lontano questa scena non sarebbe sembrata insolita, sei ragazzi in sella a mezzi più o meno ben conservate che pedalavano in salita tra i colli; ma la stranezza della situazione non erano loro: sopra il gruppetto di amici andavano formandosi delle nuvole scure, nere come pece e una tempesta si preparava. Guardando verso il cielo sembrava quasi stesse arrivando l’apocalisse, stormi di uccelli si alzavano dagli alberi, quasi messi in fuga. Alla destra dell’allegra cricca di amici delle lepri correvano nei prati verso le loro tane sicure.
C’era qualcosa di innaturale in quell’atmosfera e tutti e sei se lo sentivano.
Ad un tratto un tuono, forte come non l’avevano mai sentito, scosse il terreno e i fari delle loro biciclette, davanti a loro il cielo passava da ceruleo a plumbeo e poi assumeva sfumature violacee.
Arrivati in cima al breve strappo ed analizzata la situazione, decisero di prendere una scorciatoia attraverso il bosco senza calcolare la condizione dei loro cicli. Appena furono tutti e sei in discesa su un sentierino che si snodava tra gli alberi iniziò a piovere, una pioggia torrenziale che li inzuppò tutti nel tempo di un battito di ciglia, le biciclette sferzate dall’acqua che poi le avrebbe sbriciolate e trasformate in ruggine, gli occhi socchiusi e colpiti da gocce grandi come sassi. Il terreno diventò a tratti melma, a tratti liscio come una lastra di ghiaccio in pochi, maledetti minuti.
I ragazzi pedalavano e scivolavano sotto alla tempesta, lampi squarciavano il cielo e il boato della pioggia era sovrastato da tuoni che lasciavano nelle orecchie un fischio acuto, simile a quello che resta quando cade una bomba. Gli alberi apparivano lisci come legno levigato, il muschio e l’edera venivano sfibrati dalla potenza delle gocce, i caschi dei ragazzi sembravano cartelli stradali segnati da proiettili e le sei figure si confondevano ormai con l’ambiente inzuppate com’erano.
Tutto ad un tratto una raffica di vento scaraventò un membro del gruppo lontano dalla sua bicicletta, e lo fece atterrare in un cespuglio di rovi dove quello cercò di divincolarsi dalla pianta; riuscitoci risalì in sella alla sua bicicletta, il mezzo e il suo conduttore erano la copia esatta l’uno dell’altro: tutti graffiati e doloranti. Dopo qualche centinaio di metri lo sventurato sentì un dosso scaricarsi pesantemente sulla sua schiena, si girò e scoprì che la gomma posteriore era bucata e il cerchio deformato. Arrivata al limitar del bosco, la cricca si fermò sotto la pioggia torrenziale per controllare le condizioni del suo membro sfortunato, e mentre quello veniva curato alla meglio dai graffi con dei fazzoletti fradici, uno dei compagni si voltò verso la strada e ciò che vide gli mozzò il fiato.
Acqua. Tanta acqua.
La strada oltre la fine del bosco era ormai un torrente, i fossi scavati ai lati erano pieni e avevano riempito d’acqua anche la strada. L’orologio rotto del ragazzo caduto chissà quanto tempo prima segnava le sei e mezza; si erano inoltrati nel bosco alle cinque in punto. Nessuno di loro si ricordava dove fosse casa, erano tutti completamente disorientati. Avevano nebbia a destra, nebbia a sinistra e davanti acqua che emetteva un fragore assurdo e non terreno. La nebbia era nera, silenziosa e li circondava stringendosi piano piano attorno a loro in un abbraccio quasi confortevole. Fu così che un allegro gruppo di amici sparì lentamente nell’abbraccio nero della nebbia, perso nella fretta di tornare a casa, nell’ansia per la tempesta e le loro bici si sbriciolarono in ruggine prima della fine di questa piccola apocalisse.
Meno di un’ora dopo la tempesta era finita, c’era un silenzio innaturale, l’acqua era sparita, quasi come fosse evaporata, assieme alle paure e ai segreti dei 6 ragazzi.